Nel pullupare di influencer che dominano i social anche nel mondo cattolico si pone la questione sul modo di evangelizzare con o senza questa figura.
Oggi ogni ambito ha degli influencer al centro della scena che si ergono a guru e modelli di insegnamento e di ispirazione.
Diffondere, propagare, indirizzare e proporre esempi sono pratiche diffuse e anche nel mondo cattolico si presenta l’interrogativo se per evangelizzare sui social ci sia effettivamente bisogno di un influencer cristiano.
Ci sono sacerdoti e laici che di fatto svolgono già questo ruolo sulle piattaforme che coinvolgono un pubblico di giovani e giovanissimi, ma anche per una fascia di età più adulta non mancano le figure di riferimento.
Veri e propri influencer o no il bisogno di avere dei modelli da seguire, la necessità di guardare a qualcuno che indica la strada è forte per moltissimi per cui è importante che si svolge questo compito sia preparato nel modo migliore.
Recentemente, nel corso della Giornata Mondiale della Gioventù che si è tenuta a Lisbona dal 1 al 6 agosto si è svolto anche il primo Festival degli influencer cattolici dove da tutto il mondo si sono riuniti per un momento di conoscenza reciproca e di festa.
In realtà la chiamata ad evangelizzare e quindi ad annunciare Gesù Cristo è propria di ogni battezzato. Si tratta di una missione che deve essere insita in ognuno, da esplicare nei modi propri delle condizioni e dello stile di vita di ciascuno.
È del tutto normale però che emergano figure che per attitudine, carattere e capacità possono svolgere quello che a tutti gli effetti può essere definito il ruolo di influencer.
Ma un influencer cattolico deve avere caratteristiche diverse da quelle che ha generalmente questa figura. Innanzitutto non deve esserci autocompiacimento e quindi deve essere assente una componente narcisistica che di solito è alla base del ruolo di ogni influencer.
Evangelizzare vuol dire portare Gesù agli altri, farlo conoscere, farsi tramite di un incontro, essere semplici strumenti al servizio di Dio.
Non può esserci spazio perciò in questo per vanità e egocentrismo. L’Io deve esser messo da parte, bisogna porre effettivamente il Signore al centro.
Questo può comportare una lotta con molte tentazioni. Piacere e avere successo, la fama e il riconoscimento pubblico, un certo prestigio che si viene ad assumere sono elementi che possono nuocere fortemente alla missione che si porta avanti.
Perché se essere un influencer sui social è un lavoro, fare l’influencer cattolico non può che essere una missione che deve svincolarsi da ogni interesse personale e ricerca di potere e autocompiacimento.
La posta in gioco è altissima: c’è di mezzo la fede delle persone e i rischi dell’esposizione mediatica sono da tenere costantemente sotto controllo.
Si tratta di un impegno molto grande che ha un’importanza notevole soprattutto per quanto riguarda l’impatto sui giovani, e proprio per questo ogni azione deve essere ponderata e si deve applicare un profondo discernimento prima di ogni decisione.
Come ha affermato don Alberto Ravagnani, giovane sacerdote influencer molto seguito, ogni buon parroco deve essere un buon influencer così come ogni cristiano in tutti i campi in cui agisce.